La giornata mondiale dei cani in ufficio e la discriminazione “creativa”

streetart

Come sfruttare la meno polarizzante tra le ricorrenze per parlare di video, discriminazione, comunicazione e app sessiste (credici)

Il 22 Giugno è la giornata mondiale dei cani in ufficio. Eh sì, ormai abbiamo giornate per celebrare l’emoji (17 luglio), ricordare l’importanza nella società occidentale del gabinetto (19 novembre), sensibilizzare rispetto… all’orgasmo (31 luglio, beato chi è nato quel giorno). Praticamente una al giorno tutti i giorni, e PREPARATI, CHE TRA POCO ARRIVA L’IMPERDIBILE CAPS LOCK DAY. 

Qualcuno, da qualche parte (probabilmente gli instancabili USA) deve aver pensato che nessun giorno del calendario dovesse passare indarno, andando in controtendenza rispetto al pragmatismo mediterraneo: se c’è qualcosa da festeggiare, deve meritare un giorno festivo, altrimenti #falloacasatua senza tanti squilli di trombe. 

Noi Panebarcos però amiamo sfruttare anche le peggiori atrocità del mondo moderno per parlare di comunicazione, codici narrativi, agenzie web, attualità. E, con voli pindarici che a noi vengono naturali come a Homer Simpsons ingozzarsi di Donuts, usiamo a questo scopo anche la meno polarizzante tra le ricorrenze. 

Più cani che neri nelle agenzie di comunicazione

Intendiamoci: contro i cani in ufficio non abbiamo niente (“noi abbiamo un sacco di amici cani!”), ma tempo fa ci siamo imbattute in un video che ci ha colpito. È di Travis Wood ed è il resoconto del suo viaggio all’interno delle pagine chi siamo di una serie di agenzie di produzione video, design e pubblicità tra New York e Los Angeles:

In pieno movimento #Blacklivesmatter, a noi viene da dire che tutto si tiene. 

E l’Italia? Beh, nelle più di 200 agenzie scrutinate a costi umani altissimi, ne abbiamo trovata una sola con un membro non umano nello staff

un cane nella pagina "Chi siamo" di un'agenzia di comunicazione italiana

Abbiamo anche trovato, però, dichiarazioni di questo tipo:

Il che ci porta ad un’altra secolare categoria vittima di discriminazione, le donne. Anche nel nostro specifico settore, sembrano tenute ai margini esattamente come un secolo fa. 

Più coloratrici che animatrici nelle case di produzione?

immagine del libro di Mindy Johnson intitolato "Ink and paint"
immagine tratta dal canale Twitter della Disney

Ai tempi di Walt Disney, infatti, le donne erano assunte quasi esclusivamente all’Ink&Paint department, dove lo stesso Walt ammetteva che fossero cruciali per la riuscita dei cartoons:


Without them, you’d be looking at nothing more than pencil sketches on the screen.

Walt Disney, parole riportate nel libro Ink & Paint di Mindy Johnson

e una di loro, Jean Erwin, ammette che

Avevano provato gli uomini nell’Ink&painting. Ma ci vuole un sacco di pazienza. Si trovavano veramente pochi uomini con la pazienza che le donne avevano nel farlo.

Intervista a Jean Erwin riportata a pg. 56 del libro Ink & Paint di Mindy Johnson

Pazienza, sì, ma che dire delle donne che si candidavano come animatrici e venivano puntualmente respinte?
Lo riferisce Marc Davis, leggendario illustratore, che mandò il suo portfolio alla Disney e ricevette una lettera di rifiuto indirizzata alla signora Marcia Davis (…) dove c’era scritto che Disney non assumeva donne come illustratrici e che l’avrebbero ricontattata quando avessero deciso di assumerle, perché il suo portfolio era molto interessante. Due anni dopo andò di persona e fu subito assunto. Sicuramente l’errore di trascrizione sarà costato il posto a una donna, visto che quello della segretaria era sicuramente un lavoro che richiedeva… pazienza.

E oggi?

Oggi, poco meno di un secolo dopo, Kitty Turley, produttrice esecutiva alla Strange beast – l’unica compagnia di produzione di film di animazione di Londra con una parità assoluta di genere nel portfolio registi – dice che:

in un tipico studio di animazione, gli uomini sono i creativi mentre le donne sono le animatrici da bassa manovalanza o le produttrici. Le donne son lì per facilitare l’espressione creativa degli uomini. Non appena passano dall’ambito educativo all’ambito professionale*, sono le loro qualità più comunemente associate al femminile che vengono esaltate: il nutrimento e la volontà di compiacere gli altri.

Traduzione nostra da questa intervista

Difficile trovare i dieci piccoli particolari che distinguono il 1930 dal 2020

Inclusione fa rima con comunicazione (ma anche con illustrazione)

Insomma, c’è ancora tanta strada da fare per chi non è un uomo-nero-anglosassone (almeno protestante sembra che ce lo siamo levate di torno, ma bisognerebbe chiederlo a chi manda un CV con un nome come Yusuf o Khadija), anche nelle realtà alle quali piace pensare di essere up-to-date. Certo non ci aiuterà a percorrerla chi ha illustrato (e chi ha approvato) la app Immuni:

il post del blog di Freeda sulla nuova app Immuni
Il lapidario post sul blog di Freeda sulla app Immuni

Ancora sembra per alcuni impossibile capire che, come dice Roberto Pasini

serve buon senso. A volte basta davvero poco per allargare di molto la platea di persone a cui ci si rivolge, ed è un peccato non farlo.

#lessonstobelearned

*nel mercato d’animazione più maturo (quello della California, concentrato nella città di Los Angeles), il 60% di chi si laurea in animazione è donna, ma solo tra il 20 e il 40% dei ruoli professionali dell’industria dell’animazione in città è ricoperto da donne

PS. l’immagine in testa al post riproduce il graffito di Daniele Panebarco al nido d’infanzia Darsena di Ravenna realizzato grazie alla collaborazione con Marco “Bonolabo” Miccoli